Febbraio 27, 2018 Categoria:

Descubre Kenia

La brezza fresca di Eldoret accoglie i viandanti come una canzone con note leggere. Si sente subito che l’aria è diversa rispetto a quella di Nairobi. 2000 metri di altezza non sono uno scherzo. Basta fare 100 metri ad andatura sostenuta per rendersi conto della ragione che spinge migliaia di atleti professionisti di tutto il mondo a venire sugli altopiani della Rift Valley ad allenarsi.
Il paesaggio non è esattamente quello degli stereotipi dell’Africa: la rigogliosa campagna contornata da foreste verdi a macchia di leopardo non ricorda affatto la savana di Simba. Eppure, in questi luoghi, in questi paesi sperduti tra strade sterrate, erba e piantagioni di te, se si ascolta con attenzione si riesce ancora a sentire lo spirito primordiale del Kenya.
La vita in centro ad Eldoret, dove generalmente si fa base quando si visita il paese per ragioni sportive, è profondamente diversa da quella che si respira nei training camp che si trovano a qualche decina di chilometri nella campagna. Una città in continua trasformazione con tutta la frenesia che ci si potrebbe aspettare da un assembramento urbano di oltre 500.000 abitanti a pochi chilometri dall’enorme lago Vittoria. Odori, movimenti, colori molto diversi da quello a cui ci ha abituato l’Europa. Una comunità in frenetico cambiamento con tutti i risvolti positivi e negativi del caso.

Il punto di partenza della spedizione WINTECARE è il Noble hotel di Eldoret ma il vero obiettivo sono i training camp di Kaptagat e Kapsabet. Due pietre angolari della storia del running professionale in Kenya. Parlando con chi li ha fondati, il dottor Rosa, si percepisce subito quanto questi luoghi, e in parte le persone che li abitano, fossero diversi venti anni fa, quando anche solo l’idea di una pista in tartan o di una scheda di allenamento erano utopia. Oggi migliaia di atleti autoctoni e, tra loro, centinaia di top runner, si allenano su questi altopiani tra strade, foreste e stadi in terra battuta… E finalmente ci sono alcuni centri dotati di piste in materiale tecnico.
La vita nei camp è difficile da cogliere nella sua essenza, a tratti sembrano delle strutture con organizzazione militare con orari definiti, rancio e alloggi per dormire… per altri aspetti assomigliano più a camp estivi, dove coetanei si trovano per svago. Probabilmente l’unico modo per rendersi conto della realtà di questi luoghi è passare alcuni mesi in mezzo ai ragazzi che li frequentano e che, con i loro occhi ardenti dalla voglia di dimostrare quanto valgono, sono ansiosi di cogliere quell’opportunità per cambiare vita e lasciare, anche loro, un piccolo segno nella storia del loro paese. A vederli in queste stanze a volte si dimentica che si ha a che fare con campioni del mondo o con talenti in grado di chiudere una Major in poco più di due ore.

Gli allenamenti sono duri e rigorosi. Ci sono quantità precise di chilometri da macinare sotto le scarpe ogni settimana. Giorni in cui si corrono anche 40 chilometri a passo di gara. Il paesaggio nei dintorni dei camp offre una natura dolce che si estende tra pianure e colline. Per percorrere certe distanze non è sempre possibile rimanere lungo strade asfaltate. Spesso si corre tra boschi e campagna dove il terreno molte volte è accidentato e mette a dura prova la struttura biomeccanica degli atleti.
Da queste parti, un runner amatore che corre ad un passo tra i 4 e i 5 minuti a chilometro avrebbe dei seri problemi a percorrerne più di dieci alla volta senza avere serie ripercussioni sulle articolazioni. Quando vedi allenarsi campioni come Paul, Feiysa, Stanley, Lawrence o Titus, ognuno con il suo stile personale, ti rendi conto che il loro modo di correre ha qualcosa in comune ma li distingue dalla maggior parte dei runner. Sembrano aver sviluppato una naturale capacità elastica nei tessuti dei loro tendini e dei loro muscoli. La spinta non è generata tanto dalla forza muscolare impressa sull’appoggio quanto dalla forza cinetica accumulata durante l’atterraggio e sprigionata durante il rimbalzo.
La performance, quindi, non è solo questione di resistenza. Per mantenere un passo elevato per lunghe distanze è necessario imparare a sfruttare l’energia che si accumula e si sprigiona ad ogni passo. Questo permette di prolungare la fase aerea della corsa senza spendere troppa energia muscolare. Buona parte delle sollecitazioni vengono assorbite dalla fascia plantare dal tendine di Achille e da altri componenti mio-tendinei della catena cinetica posteriore. Non è un caso che il team fisioterapico a supporto di questi campioni abbia spesso a che fare con tendinopatie che interessano proprio il tendine d’Achille. Un altro elemento suggerito dai dati raccolti, che meriterebbe un approfondimento, è la diversa localizzazione dell’infiammazione, prossimale e distale, in base al tono e al trofismo muscolare dell’atleta.

Con oltre venti atleti che frequentano ciascun camp e che hanno bisogno di supporto fisioterapico giornaliero non è facile organizzare un corso formativo, specialmente in questo periodo dell’anno. Nonostante ciò i giorni passati con i terapisti del team si sono svolti in modo fluido, alternando teoria e pratica incentrata sul nuovo modello tecar T-Plus che andrà a supporto delle strutture di Kaptagat, Kapsabet e Nyahururu, anche se si tratta di Fisioterapisti esperti che conoscono da anni la tecnologia tecar. Le nuove caratteristiche dello strumento WINTECARE danno l’opportunità di incrementare il range di azione. Al di là della potenza erogata, il rivoluzionario sistema capacitivo senza crema ad alta efficienza apre la porta a tecniche mio-fasciali che prima difficilmente potevano essere combinate con uno strumento di diatermia tradizionale. A supporto del programma formativo, l’impiego di applicazioni 3D per lo studio dell’anatomia dell’apparato muscolo-scheletrico e di altri macrosistemi del corpo rende molto più dettagliati i programmi applicativi affrontati nella fase pratica. Con l’aiuto del nostro senior specialist Javier Gonzalez Gorriz la settimana formativa del Kenya sta già portando ottimi risultati. Siamo già all’opera per organizzare i giorni di check point dove un secondo specialista si occuperà di verificare i progressi della squadra locale e di approfondire i tempi di riabilitazione e performance specificamente richiesti dal centro.